“Mr. Scorsese”, il documentario diretto da Rebecca Miller

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La vita “in bianco e nero” del regista, in un bel documentario: dall'isolamento e la rabbia dentro "Taxi Driver" fino a "The Wolf of Wall Strett" con Leonardo Di Caprio. Martin Scorsese ha fatto più film di quelli che riusciamo a ricordare
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Cinque ore. Vietato dire che sono troppe, abbiamo mandato giù serie più lunghe e molto meno interessanti. “Mr Scorsese” è un documentario, genere che gode di pessima fama: voci fuori campo, materiale di repertorio (nel senso che “l’abbiamo già visto”), agiografia più o meno mascherata. Ma stavolta c’è una brava regista a dirigere, forte di qualche lungometraggio applaudito ai festival ma mai uscito nei cinema italiani. Si chiama Rebecca Miller, figlia di Arthur Miller e di Inge Morath (anche moglie di Daniel Day-Lewis, ma dopo il brutto film “Anemone” meglio lasciare in ombra quella parte di famiglia).
Martin Scorsese, 82 anni il 17 novembre, ha fatto più film di quelli che riusciamo a ricordare. Per esempio “Re per una notte” con Jerry Lewis. Oppure “New York New York”, musical con Liza Minnelli e Robert De Niro. “Al di là dalla vita” era infermieristico ma scritto da Paul Schrader con Nicolas Cage. “Fuori orario” tendeva al demenziale con Griffin Donne e Rosanna Arquette.
Niente male per un figlio di immigrati italiani che soffriva di asma quindi non poteva uscire, e abitava poco lontano dalle strade dove la mafia scaricava i cadaveri. Unica distrazione, il cinema: l’aria condizionata alleviava i sintomi. Le immagini d’archivio mostrano i miserabili nella Bowery di allora – oggi la zona cerca di attirare i turisti. Viveva isolato, e possiamo considerare “Mean Streets” come un filmino di famiglia – artistico, perché l’arte è sempre legata alla crudeltà (anime candide astenersi, non è un documentario che vi piacerà).
L’isolamento e la rabbia sono tutte in “Taxi Driver”, con un Robert De Niro dalla faccia angelica. Giustiziere, come vuole il copione di Paul Schrader. Reduce dal Vietnam con scarsissimo uso di mondo: al primo appuntamento il suo personaggio porta la biondina Jodie Foster a vedere un film porno. “E’ un uomo del sottosuolo, oggi sarebbe un uomo dedito ai social”, dice il regista. Andarono a Cannes, Jodie Foster, l’unica a parlare francese, rispose per gli altri (minorenne, non avrebbe potuto vedere il film in sala). Vinsero la Palma d’oro 1976 – presidente di giuria era Tennessee Williams. Il sangue era stato “decolorato”, spento per non urtare il pubblico.
Conosciamo mamma Catherine, attrice per il figlio e furiosa quando viene tagliata. Il film successivo, “New York New York”, sangue non ne aveva e fu un tremendissimo flop. Scorsese divorzia dalla moglie Julia Cameron, madre della figlia Francesca e comincia il periodo nero. Collasso per droga, ospedale – lì fu scritto “Toro Scatenato”: Scorsese era convinto che sarebbe stato il suo ultimo film. In bianco e nero, con pugni che si ricordano dopo anni (come la pancia del povero De Niro, costretto a mettere su chili). Poi di nuovo fischi, con “Re per una notte”.
Viene voglia di saccheggiare tutto il documentario. Scorsese con barba, senza barba, con i capelli lunghi, con la camicia a fiori, con gli smoking agli Oscar, sempre sfuggiti fino a “The Wolf of Wall Street”: il giovane Leonardo DiCaprio aveva brigato per lavorare con lui. Con Joe Pesci, che è nato in un quartiere simile al suo, ma “ne è rimasto più segnato” e non ne vuole parlare.
Diversissimo dai film di gangster, eppure riuscitissimo, fu “L’età dell’innocenza”, tratto dal romanzo di Edith Wharton. Un amore impossibile – Daniel Day-Lewis è un ricco avvocato, promesso a una fanciulla aristocratica; la divorziata Michelle Pfeiffer non vuole fare l’amante – nell’alta società di New York, 1870: ogni invitato aveva varie paia di guanti bianchi, uno per ogni dama che avrebbe fatto ballare. Interrogato, il santo e peccatore Martin Scorsese dichiara di essere stato attratto dalla crudeltà del romanzo.
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